Il termine Lombalgia viene utilizzato per indicare una sintomatologia dolorosa che interessa la regione lombare con modalità e tempistiche differenti. Viene considerata dall’OMS una delle patologie più diagnosticate: si stima che almeno una volta nella vita circa il 70-85% della popolazione mondiale abbia avuto dolore lombare.
La lombalgia è classificata per durata:
- acuta (dolore di durata inferiore alle 6 settimane),
- sub-cronica (da 6 a 12 settimane)
- cronica (più di 12 settimane)
a seconda della causa:
- Specifica: dagli ultimi studi si evince che solo il 15% circa delle lombalgie abbia cause specifiche. Si definisce specifica quando il mal di schiena è sintomo di specifiche malattie della colonna vertebrale (infezione, stenosi, frattura, tumore, ecc.) o di malattie internistiche (ad es. aneurisma dell’aorta addominale, malattie renali o genitali, ecc.)
- Aspecifica: A questa categoria appartengono l’85% delle Lombalgie diagnosticate. “Aspecifica” è un termine che indica che la struttura responsabile dei sintomi non è stata trovata. La natura del mal di schiena è infatti multifattoriale. Possono esserci diversi distretti corporei (colonna, bacino, anche, caviglie ecc) coinvolti nell’insorgenza e nel protrarsi dei sintomi, uniti a fattori legati allo stile di vita, come posture e movimenti scorretti, stess fisici o psicologici, assenza di movimento e sedentarietà. La lombalgia aspecifica è molto comune nei paesi occidentali più industrializzati.
Come approcciare alla lombalgia?

E’ importante fare una premessa. L’approccio a qualsiasi tipo di problematica che provoca dolore e qualsivoglia alterazione del proprio stato di salute deve tener conto della costellazione di caratteristiche che differenziano le persone (età, sesso, stili di vita, attività fisica, sedentarietà, occupazione,alimentazione) quindi è inutile e dannoso cercare la soluzione al problema cercando sui motori di ricerca (google, youtube) soluzioni preconfezionate.
Facciamo un po’ di chiarezza.
E’ possibile rivolgersi sin da subito ad un Fisioterapista o ad un Osteopata competente. Intervenire precocemente è essenziale affinché la terapia abbia ottimi risultati.
Il Fisioterapista o l’Osteopata saprà guidare la persona attraverso il processo di guarigione utilizzando un approccio personalizzato, globale e multifunzionale, che comprende esercizi specifici, tecniche manuali e manipolative e consigli ergonomici e posturali e saprà altresì indirizzarvi da un medico specializzato qual’ora sospetti situazioni più gravi cioè le cosi dette “Red Flags” (bandiere rosse), ovvero segnali di rischio che già in fase anamnestica indicano controindicazioni al trattamento o la necessità di un consulto medico tempestivo.
Nei primi giorni dall’episodio acuto di mal di schiena è normale fare più fatica a muoversi. Nonostante questo,stare fermi peggiora la prognosi del mal di schiena. È quindi utile cominciare il percorso riabilitativo per la “ fase acuta” , in modo da diminuire i fattori di rischio, di cronicità e tornare a muoversi il prima possibile evitando l’insorgenza della kinesifobia, cioè , la paura del movimento.
In tutti i casi l’errore che va per la maggiore è fare immediatamente una RM (risonanza magnetica). È consigliabile riservare la risonanza magnetica solamente alle situazioni in cui il medico sospetta problemi più gravi.
Se si prova dolore lombare e si legge nel referto della Risonanza Magnetica la parola ernia del disco, protrusione, degenerazione artrosica, è normale associarla ai propri sintomi. Non è così. Le degenerazioni della colonna quali protrusioni e ernie sono molto comuni anche in persone senza sintomi.
Un recente studio ha dimostrato che il 37% delle persone sotto i 30 anni, il 90% delle persone tra i 50 e i 55 anni e più del 96% delle persone sopra gli 80 anni ha alterazioni della colonna visibili in risonanza senza avere sintomi lombari. Queste alterazioni possono quindi semplicemente essere considerate dei cambiamenti fisiologici, apprezzabili già a partire dai 25-30 anni.

Attenzione al “fai da te”: i farmaci antidolorifici ed antiinfiammatori dovrebbero essere utilizzati esclusivamente dietro indicazione medica e per un periodo limitato di tempo.
Destinati all’operazione chirurgica sono solo una piccolissima percentuale di pazienti ; anche in questo caso si osserva dagli ultimi studi che l’efficacia dell’intervento chirurgico non è migliore dell’intervento riabilitativo nel medio e nel lungo termine.
Quando la lombalgia diventa Cronica
Dopo tre mesi dalla comparsa della sintomatologia la lombalgia viene considerata in stato “cronico”. In questa evenienza, rispetto alla fase “acuta” il dolore e l’infiammazione vengono modulati al livello del nostro sistema nervoso centrale in maniera assai differente: il risultato è che il percorso di recupero e riabilitazione sarà più elaborato. Basti pensare che, la percentuale dei pazienti sintomatici ad un anno dall’episodio di lombalgia è del 20%.
Il passaggio dalla forma acuta a quella cronica è dato da fattori di rischio definiti secondari che possono essere sia fisici che psichici e sociali : stress cronico, una scorretta gestione del corpo e dell’alimentazione, la mancanza o eccesso di attività fisica, eccesso di peso, disturbi dell’apparato locomotore. Tra i fattori psichici e sociali troviamo la depressione, l’insoddisfazione professionale, eventuali disagi sociali.
L’Intervento
Le ultime linee guida raccomandano in questi casi un approccio multidisciplinare. Il paziente è inquadrato in un modello bio-psico-sociale, il quale comprende aspetti comportamentali, psicologici e sociali, come fattori che possono indurre la persistenza del dolore e della disabilità. Le evidenze raccomandano come prima linea di trattamento l’esercizio e la mobilizzazione fisica, assieme alla gestione della dimensione psichica del disturbo, tramite psicoterapia ed altre tecniche di gestione dello stress e del dolore.